Ora cercherò di raccontare una 
				settimana di trekking non su alte vette aguzze delle Dolomiti o 
				delle Alpi ma di una settimana passata su una splendida 
				
				
				
				isola che è la Sardegna.
Per 
				posizione geografica e per la sua storia, la Sardegna 
				rappresenta una delle mete più ambite a livello internazionale. 
				Secondo la leggenda Dio formò l’isola con il suo piede 
				attribuendole, quindi, l’ormai famosa forma di sandalo, da cui 
				gli antichi attribuirono il nome. Rispetto alla maggior parte 
				delle aree europee, l’isola mantiene un clima mite per 365 
				giorni all’anno ed un ambiente naturale ancora intatto, poiché 
				strenuamente difeso dalla popolazione che vive prevalentemente 
				di turismo , pastorizia e agricoltura, sfruttando le incredibili 
				risorse del territorio. 
La Sardegna è nota, a livello 
				internazionale, per il mare cristallino e la bellezza delle 
				spiagge e delle innumerevoli insenature, spesso raggiungibili 
				solo via mare, nonché le numerose aree protette, dove, ancora 
				oggi, numerose specie di uccelli e pesci, e tartarughe, 
				approdano per riprodursi o come meta delle migrazioni. Meno 
				conosciute, ma non per questo meno affascinanti, sono le zone 
				interne dell’isola, che celano, nell’alone delle leggende, una 
				bellezza selvaggia e primitiva, fatta di storia antica mescolata 
				alla leggenda e alla religione.
Partiamo da Livorno 
				imbarcandoci sul traghetto della linea Moby, il nostro gruppo è 
				formato da 8 componenti: Bruno e Severina, Luca e Sabrina, 
				Alessandro e Giuseppina, Luigi ed Edo.
La nave salpa puntuale 
				alle ore 23:00 come da orario e la navigazione si rivela 
				tranquilla; approdiamo al porto di Olbia alle ore 07:00 e una 
				volta recuperato il nostro furgone partiamo immediatamente alla 
				volta di Alghero.
Una volta raggiunto cerchiamo la località 
				di Guardia Grande per giungere al B&B "Graziano e Barbara,
				
				posto 
				in mezzo alla natura e ai vigneti. Ci troviamo nei pressi di una 
				delle zone protette più belle della Sardegna, il Parco di Porto 
				Conte, situato nel promontorio di Capo Caccia.
				Vicino alle spiagge di Mugoni, 
				Porticciolo e Porto Ferro.
				
				Veniamo accolti molto 
				calorosamente dalla Signora Barbara che 
				subito ci fa sistemare nelle nostre accoglienti camere.
Una 
				volta sistemati non perdiamo tempo e subito ci dirigiamo verso 
				Bosa per andare a visitare il litorale di Torre Argentina.
				Percorriamo la strada provinciale  che conduce ad Alghero e 
				da qui per Bosa. L'ingresso principale alla località è situato 
				in prossimità del 7° km della Strada Provinciale 49, che 
				collega, appunto, Bosa ad Alghero. 
Per entrare dobbiamo 
				passare di fianco ad un cancello, e poi seguiamo delle tracce di 
				sentiero o procediamo a vista tra la bassa vegetazione sino a 
				raggiungere il promontorio calcareo dove sulla sommità sorge una 
				torre aragonese, costruita 
				verosimilmente nel 1587.
Aveva il 
				compito di avvistare e segnalare l’arrivo del nemico. E’ 
				costituita da un solo piano con volta a fungo e vi si accedeva 
				tramite un ingresso collocato a tre metri dal suolo. 
Era 
				presidiata da un alcade e due soldati e dotata di tre fucili ed 
				un piccolo cannone; inoltre è in collegamento visivo con la 
				torre di Bosa, più a sud, e di Colombargia.
Ci 
				sistemiamo sulle piatte rocce e consumiamo il nostro pranzo al 
				sacco, un pò frugale ma non ci siamo fatti mancare del buon 
				canonau e naturalmente quando c'è Bruno neanche un bel caffè! Al 
				profumo del caffè si sono unite a noi anche due turiste spagnole 
				con le quali Edo ha giovialmente fraternizzato sfoggiando il suo 
				spagnolo: c'è rimasto un po' male che se ne sono andate via 
				presto!
Certo che il panorama è bellissimo il mare è limpido 
				e color cobalto con fondali non troppo profondi, tutt'intorno 
				all'area si aprono diverse calette dove la sabbia è sostituita 
				da rocce piatte.
Ma parlando e ammirando il panorama che non 
				ci stanca mai decidiamo che ci potrebbe essere tempo per 
				effettuare un'escursione alla Ferrata della Regina.
Questa 
				ferrata si trova nel paese di Monteleone Roccadoria. Il paese di 
				Monteleone  si può raggiungere rapidamente se si proviene 
				da Alghero, seguendo la SS292 per Villanova Monteleone. 
				Attraversato questo centro si proseguirà lungo la stessa strada 
				che, attraversato il lago, conduce fino al bivio di ingresso di 
				Monteleone Roccadoria (così chiamato perché intorno al 1400 fu 
				una roccaforte dei Doria di Genova i quali vi costruirono anche 
				un castello).Un borgo della Sardegna nord-occidentale, in 
				provincia di Sassari, arroccato su un colle di tufo calcareo 
				immerso in un contesto naturalistico intatto, circondato dal
				Lago del Temo e di fronte al maestoso parco 
				naturalistico del Monte Minerva.
				Attraversiamo il paese e con le indicazioni che abbiamo 
				scaricato da internet troviamo abbastanza facilmente il punto di 
				partenza.
Attraversiamo il paese sulla via principale e ci 
				dirigiamo verso il comune, una volta superato continuiamo sino a 
				raggiungere uno slargo con una caratteristica chiesetta 
				di Santo Stefano, edificata all’inizio del Duecento, in 
				stile tardo-romanico.
				
				
				
				Sulla sinistra vi è una bacheca che indica i vari 
				itinerari tar cui la ferrata della Regina (sviluppo 
				della ferrata). Leggiamo che 
				l'attacco è a soli quindici minuti, quindi indossiamo subito 
				l'imbrago e ci dotiamo del kit da ferrata: dissipatore e 
				caschetto.
Imbocchiamo la strada panoramica dopo un centinaio 
				di metri, sulla sinistra, parte il sentiero d'accesso alla 
				ferrata, anche quì segnalato da un cartello.
Lo seguiamo in 
				discesa seguendo un corrimano che ci porta sino alla base delle 
				grandi falesie calcaree, dove 
				si trovano numerose vie per l'arrampicata sportiva. Giunti ad 
				una fonte scavata nella roccia (Funtana 'e ziu Ainzu) si procede 
				ancora per una ventina di metri, fino alla bacheca che segnala 
				l'attacco della via ferrata.
Notiamo subito l'attacco e con 
				nostro disappunto notiamo che il primo tratto, almeno, è assai 
				strapiombante, hoi hoi povere braccia! La salita inizia con una 
				rete fatta con cavi in acciaio incrociati detta filet, tipo 
				quella delle vecchie navi per salire sulle vele.
Una volta 
				salita ci troviamo sulla roccia e quì qualche problema c'è, 
				infatti è costantemente strapiombante, qui lavoriamo di braccia! 
				Poi, dobbiamo affrontare un lungo traverso ancora strapiombante 
				ma meno impegnativo, aggiriamo uno spigolo e poi finalmente 
				proseguiamo su una parete in verticale più appoggiata.
				Abbiamo terminato la prima sezione, camminiamo su un'ampia 
				cengia, ora che procediamo con calma notiamo moltissimi fossili 
				marini e conferma che questo anticamente era fondale marino; 
				notiamo anche due antiche vasche scavate nella roccia, chi sa da 
				chi e perchè?
Continuiamo su facile tracciato e arriviamo ad 
				un bivio
				
				dal quale, volendo, è possibile uscire (via di fuga verso la 
				strada panoramica).
Noi proseguiamo lungo la cengia superando 
				due facili passaggi parzialmente protetti o gradinati. In circa 
				10 minuti si arriva ad un cartello indicatore dove prendiamo a 
				sinistra per scendere lungo una scala metallica alta 10 metri 
				che conduce ad una cengia sottostante, da quì iniziamo ad avere 
				una bella vista sul lago di Temo.
				Il lago di Monteleone è un bacino artificiale di medie 
				dimensioni e forma irregolare ottenuto dallo sbarramento del 
				fiume Temo, con lunghezza di circa 7 Km e larghezza di poco più 
				di 3 Km nella parte centrale.
Prendiamo a sinistra seguendo 
				le indicazioni sino a che non dobbiamo scendere su una parete 
				che ci conduce ad un adrenalinico ponte tibetano lungo 20 metri. 
				Oltre il ponte la cengia diventa più stretta  ma comunque 
				ben percorribile. Giungiamo, sempre su cengia, al libro di 
				vetta, o meglio di via in quanto non è posto al termine della 
				ferrata, due righe  e riprendiamo il cammino. Percorsa la 
				cengia dobbiamo risalire per pochi metri su facile risalita ma 
				con terreno molto smosso e pe questo i caschetti sono molto 
				utili!
Siamo ora su una cengia molto ampia e suggestiva, 
				priva di difficoltà, caratterizzata da particolari erosioni 
				della roccia con molte concrezioni e resti fossili.
Infine 
				raggiungiamo l'ultima verticale di una trentina di metri su 
				roccia appoggiata e giungiamo sul comodo sentiero di rientro, lo 
				stesso che abbiamo percorso all'andata.
La ferrata ha uno 
				sviluppo tra andata e ritorno di 600mt, il dislivello di 60 mt 
				pos. la difficoltà la danno per difficile ma a parte la prima 
				parte assai strapiombante non vi sono grosse difficoltà, una 
				difficoltà potrebbe essere il ponte tibetano ma comunque è molto 
				stabile.
				
				Tempo di percorrenza 2 h 
				
Tutta la falesia è esposta a nord, pertanto in 
				primavera-estate prende sole esclusivamente nelle prime ore del 
				mattino mentre in inverno è sempre in ombra.
Torniamo 
				indietro verso i nostri alloggi per una doccia e un pò di 
				riposo, andiamo a cena e poi, finalmente, il giusto riposo, 
				siamo veramente stanchi!
Ed eccoci al secondo giorno, 
				facciamo una ricca e buonissima colazione e ci riforniamo di 
				panini per il pranzo, naturalmente anche del buon Canonau non 
				può mancare.
Poi via si parte alla volta di Capo Caccia.
				
				
				Capo Caccia 
				(Cap de la Caça in catalano) è il nome del massiccio promontorio 
				calcareo che sporge dalla costa nord-occidentale della Sardegna. 
				Così come le scogliere che lo delimitano a nord e a sud esso è 
				caratterizzato da falesie alte fino a 203 metri a picco sul 
				mare. Lungo le pareti che guardano a ovest, in quella porzione 
				di costa che si eleva tra il belvedere della Foradada e le 
				Grotte di Nettuno, è proprio lungo le 
				pareti ovest di questo smisurato promontorio che si snoda la Via 
				Ferrata del Cabirol, un percorso attrezzato che permette 
				di inoltrarsi in un ambiente incontaminato.
				Imbocchiamo la 
				SS55bis e  seguiamo le indicazioni turistiche per " Capo 
				Caccia". Una volta giunti sul promontorio, al km 10,5  
				imbocchiamo sulla destra una variante panoramica che seguiamo 
				per circa 200 mt. fino al parcheggio del belvedere sull'isola 
				Foradada.
Dal parcheggio (
				avvicinamento e 
				sviluppo ferrata) ci dirigiamo verso sud ( a sinistra 
				guardando l'isola di Foradada), imbocchiamo una traccia di 
				sentiero che si stacca dalla strada asfaltata. Sul sentiero non 
				vi sono segni ma in caso di dubbi è sufficiente seguire il 
				limite roccioso delle falesie a picco sul mare prendendo come 
				rifermento e destinazione una piccola grotta visibile già dal 
				basso. Superata la grotta dei Vasi Rotti si procede ancora per 
				una quindicina di metri fino ad individuare un " omino" di 
				pietre sul bordo della falesia. Superiamo un varco a destra 
				nella vegetazione che permette di accedere ad un terrazzino dove 
				una bacheca che indica l'attacco della via ferrata. Partiamo in 
				discesa assicurandoci al cavo per il primo facile passaggio; da 
				quì abbiamo accesso  alla cengia bassa.  Camminiamo in 
				un passaggio tra massi franati chi sa quando e proseguiamo senza 
				cavi dato la facilità del percorso e quindi non presentando 
				difficoltà tecniche, la facilità di progressione ci permette 
				anche di ammirare dei begli scorci sul mare e sulle pareti che 
				ci sovrastano.
Ci troviamo in corrispondenza di un grosso 
				tetto roccioso e la cengia si restringe fino a poche decine di 
				centimetri su pendio sabbioso ed un cavo protegge questa 
				sezione, oltre la quale si giunge in pochi minuti al termine del 
				percorso basso, dove ha inizio la verticale gradinata. La 
				verticale da salire sviluppa circa 25 metri con un lieve 
				strapiombo che richiede un minimo di praticità nell'uso della 
				doppia longe. Davanti a noi, distante qualche centinaio di 
				metri, si nota la stupenda Scala del Cabirol e la mole imponente 
				del promontorio con il faro di Capo Caccia (186 metri, il faro 
				più alto d'Italia, costruito nel 1864).
Al termine della 
				verticale riprendono i cavi del traverso, verso sinistra, con 
				una alternanza di piccole verticali gradinate e nuovi traversi 
				esposti.
Arriviamo così ad un altro cavo su pendio, che aiuta 
				a risalire 30 metri di pietraia (attenti alla caduta pietre) 
				fino ad arrivare al livello della cengia superiore. 
La 
				cengia alta  è decisamente più tecnica ed impegnativa di 
				quella bassa, tuttavia i numerosi traversi esposti e le discese 
				gradinate sono sempre ben protetti. 
Camminiamo su roccia in 
				un primo curioso interstrato inclinato  e arriviamo un 
				terrazzino dove, all’interno di un box inox, si trova il 
				libro-via e dove lasciamo un nostro pensiero. Proseguendo sulla 
				cengia protetta  troviamo due piccole verticali gradinate 
				da affrontare in discesa e quindi il passaggio chiave del lungo 
				traverso con passaggi lievemente strapiombanti. 
Al suo 
				termine  procediamo ancora su un'esile cengia e 
				attraversiamo un piccolo bosco sospeso che ci conduce all’ultima 
				verticale da scendere.
Ormai sentiamo di essere vicini 
				all'uscita, una sequenza di passaggi che alternano larghe cenge 
				a passaggi più esposti ci porta alla bacheca ed all’ultima 
				piccola e facile verticale di uscita.
Una volta usciti ci 
				ritroviamo tutti esultati e felici per aver fatto questa 
				bellissima ferrata del Cabirol,  proprio  degna di 
				questo quadrupede noto per essere un eccezionale arrampicatore.
				Sospesi ad un’altezza variabile tra i 150 ed i 208 metri sul 
				livello del mare, spesso costretti ad avanzare in punta di piedi 
				tanto è stretta la via, non c’è dubbio che ci siamo sentiti in 
				tutto e per tutto simili a dei caprioli. 
Ma il punto non è 
				questo. Il punto è che quanti l’hanno percorsa ci dicono 
				piuttosto di essersi sentiti più simili a creature alate. La 
				bellezza incontaminata, in cui si penetra attraverso la Via, gli 
				scenari vertiginosi, il senso d’infinita apertura dello sguardo, 
				danno poi motivo di credere che le creature alate in cui è 
				possibile immedesimarsi lassù siano non comuni uccelli, bensì 
				veri angeli.
Intendiamoci bene, la Via Ferrata del Cabirol 
				non è per tutti: è un percorso classificato di media difficoltà, 
				per affrontarlo bisogna avere attrezzature adeguate e 
				soprattutto una certa esperienza. Angeli non si nasce, si 
				diventa!
Qualche riflessione sulla ferrata:
Senza dubbio è 
				la più frequentata tra i percorsi attrezzati che sono in 
				Sardegna, nota a tutti gli appassionati di questa attività, si 
				tratta di un percorso di pura soddisfazione e totale immersione 
				in un ambiente costiero estremamente selvaggio.
emozionanti 
				verticali alte fino a 170 mt. sul mare e traversi su esili cenge 
				possono essere goduti fino in fondo grazie all'ottimo 
				attrezzamento dei passaggi e alla loro continua manutenzione. 
				Percorso piacevole e interessante anche per la possibilità di 
				osservare preziosi e rari endemismi. Da non perdere!!!
Anche 
				questa è fatta, e fatta bene ora ben carichi di adrenalina,  
				riprendiamo la via di ritorno verso il parcheggio .
Seguiamo 
				il bordo della falesia camminando tra arbusti di lentisco verso 
				nord, fino ad arrivare in vista del parcheggio e delle auto che 
				si raggiungiamo in circa 15 minuti.
Ci liberiamo di imbraghi, 
				dissipatori e caschetti e li sostituiamo con i panini, il vino e 
				il necessario per il caffè, troviamo un bel posto con una 
				magnifica vista sull'isola Foradada, sul mare circostante e il 
				promontorio dove si sviluppa la ferrata e ci gustiamo il nostro 
				pasto tra amenità varie, un bicchiere di buon vino e il caffè di 
				Bruno.
Ci siamo riposati abbastanza e ci chiediamo dove 
				possiamo andare per terminare la giornata e la scelta cade sulle 
				spiagge di Stintino.
 Stintino è' un 
				piccolo borgo marinaro sito su un promontorio (Capo 
				Falcone) all'estremità nord-occidentale della costa 
				della Sardegna, in provincia di Sassari, 
				da cui dista 50 km. Possiede una delle coste più affascinanti 
				dell'intera regione, con spiagge dalla sabbia bianchissima, 
				acque cristalline e uno dei mari più belli dell'intero 
				Mediterraneo. Con i suoi panorami mozzafiato, una natura 
				selvaggia e incontaminata, lontano dalle città più grandi, 
				Stintino è un vero paradiso per gli amanti del mare, a contatto 
				con un ambiente ancora puro ed inalterato. 
Una delle 
				più belle spiagge d'Italia, i profumi della macchia 
				mediterranea, rocce granitiche, salsedine e sole regnano sovrani 
				sulle spiagge, prima tra tutte quella della Pelosa, 
				il simbolo di Stintino. Ancor prima di arrivarci, si possono 
				ammirare dall'alto le trasparenze del mare e le sue incredibili 
				colorazioni che vanno dall'azzurro al celeste fino al turchese. 
				La spiaggia della Pelosa, a nord di Stintino, è certamente tra 
				le più belle della Sardegna e dell'Italia. Inoltre, è tra le più 
				note mete turistiche internazionali, capace di coniugare il 
				fascino del borgo di pescatori con strutture ricettive di 
				altissimo livello. La distesa di sabbia, bianchissima, con 
				l'acqua cristallina e bassa per un centinaio di metri, ricorda 
				una spiaggia tropicale. E' protetta dal mare aperto dai 
				faraglioni di Capo Falcone, dall'isola 
				Piana e dall'Asinara: ciò spiega anche 
				perché l'acqua sia sempre calma nonostante qui soffi il 
				Maestrale, il vento freddo del nord-ovest. Di fronte alla 
				spiaggia, la torre aragonese della Pelosa (1578), Dà il nome 
				alla spiaggia ed è visitabile a piedi (sempre dalla spiaggia). 
				Poco distante, l'isola Piana, così chiamata perché assolutamente 
				piatta. Veniva usata un tempo come pascolo per il bestiame: 
				vista la distanza minima dalla costa, gli animali venivano 
				portati a nuoto.
L'Asinara bella e disabitata 
				- L'Asinara, Parco Nazionale e Oasi naturalistica
				è quasi immune dalla presenza umana. E' possibile 
				visitarla anche se molte spiagge sono interdette al pubblico, ma 
				si può visitare l'isola contattando il Parco nazionale. 
				Lasciata l'auto ci dirigiamo verso la spiaggia e iniziamo a 
				camminare tra gli scogli e piccole spiaggia di sabbia 
				bianchissima, Luigi è temerario e fa un tuffo nel mare 
				invitante, ma dalla velocità che ha nell'uscirne si capisce che 
				è alquanto fredda.
Noi continuiamo la nostra passeggiata e 
				siamo al punto più a nord della penisola che facciamo torniamo 
				indietro? Neanche a parlarne iniziamo a salire su per la 
				scogliera e in breve siamo in vetta a Punta Negra, da quì 
				abbiamo veramente il paradiso sotto di noi, le splendide acque 
				cristalline di mille sfumature diverse, le isole dell'Asinara e 
				l'isola Piana, tutto il golfo di Stintino si è davvero un 
				paradiso! (foto)
				Rimaniamo giusto un pò per goderci tanta bellezza ma poi la 
				stanchezza anche di questa giornata ci consiglia di tornare 
				verso casa e riposarci un pò, ancora ce ne è da fare.
E siamo 
				al terzo giorno:
				Sveglia e colazione 
				e subito pronti per partire alla volta di Dorgali nel Nuorese, 
				il nostro raggio d'azione si sposta nel Supramonte.
Il 
				Supramonte è un complesso montuoso di altopiani carbonatici che 
				occupano la parte centro-orientale della Sardegna. Si estende su 
				una superficie di circa 35.000 ha (350 km²), occupando gran 
				parte del territorio di Oliena, Orgosolo, Urzulei, Baunei e 
				Dorgali, località situate lungo la base delle imponenti pareti 
				calcaree che delimitano i confini degli altopiani. Tali 
				frontiere naturali seguono verso settentrione l'alto corso del 
				fiume Cedrino e, verso meridione, il corso del rio Olai. (Da 
				Wikipedia)
Giungiamo a Dorgali dopo un viaggio di circa due 
				ore dopo aver individuato il nostro albergo e preso possesso 
				delle camere cerchiamo il modo di passare il resto della 
				giornata, la scelta cade sull'escursione da Cala Fuili a Cala 
				Luna, una delle spiagge più belle del mediterraneo.
Ci 
				dirigiamo verso  Cala Gonone e da quì in direzione sud  
				sino a Cala Fuili  lasciamo e auto, anche perchè termina la 
				strada, imbocchiamo il sentiero per Cala Luna.
Subito sotto 
				di noi a strapiombo abbiamo Cala Fuili col mare 
				trasparentissimo, verso nord osserviamo la costa ancora bassa, 
				sullo sfondo l'abitato di Gonone e il roccione di Biddiriscottai; 
				voltandoci verso sud vediamo l'inizio della costa alta che 
				termina nella zona di Baunei con un alternarsi di numerose 
				codule e piccole spiaggette
Percorriamo la scalinata che ci 
				porta alla base di Cala Fuili, poi ci dirigiamo frontalmente 
				verso l'altro costone per iniziare la salita attraverso gradini 
				più o meno naturali che ci portano ad un livello più alto 
				rispetto al punto di partenza. 
Durante l'escursione godiamo 
				della meraviglia del paesaggio ancora intatto: il mare che 
				assume delle sfumature di colore dal blu notte al verde smeraldo 
				sino a sfumature ancora più chiare, i ginepri contorti e 
				modellati dal vento, la macchia mediterranea tutta con i suoi 
				profumi, il rosmarino, il corbezzolo, il lentischio - che 
				meraviglia - una festa di colori e profumi. 
Dopo circa 
				un'ora incontriamo un piccolo anfratto naturale, la grotta di 
				Oddoana, ( Sarà Giusto il nome? ) siamo già a metà percorso. 
				Lungo il percorso ci inoltriamo dentro il bosco lungo una 
				discesa per poi riuscirne dopo la salita successiva ed ogni 
				volta lo spettacolo che si osserva dall'alto sembra quasi un 
				miraggio per quanto è meravigliosamente bello. A poco più di 10 
				minuti dall'arrivo sporgendoci sempre con attenzione verso il 
				costone vediamo dall'alto la spiaggia di Cala Luna, 500 metri di 
				spiaggia bianca chiusa a sud da uno stagno originato dallo 
				sbocco del rio Codula de Ilune (valle della luna) ricca di 
				oleandri.
 Dopo aver apprezzato dall'alto la codula, 
				scendiamo verso la spiaggia il passo si fa più svelto, non 
				vediamo l'ora di rilassarci su questa bellissima spiaggia, 
				peccato che ancora sia presto per fare un bel tuffo nell'acqua 
				cristallina.
				
				.JPG) 
 
				La spiaggia di Cala Luna
				
				
				Il mare è tanto 
				trasparente che anche a grande profondità si vede il fondo, per 
				dei montanari come noi ammettere che questo mare è il Mare 
				significa che è eccezionale davvero!
Rimaniamo un bel pò ad 
				ammirare questo spettacolo della natura ma poi dobbiamo 
				riprendere necessariamente la strada del ritorno che corrisponde 
				a quella dell'andata.
Torniamo a Dorgali dove ci attende una 
				bella doccia e una buonissima cena e anche un bel letto per 
				riprendere un pò di forze.
Al mattino dopo siamo belli 
				riposati e ci attende un'escursione fantastica in uno dei posti 
				più affascinanti della   
				Sardegna: le Gole del 
				Gorropu.  
Facciamo colazione, abbondante visto che ci attende 
				uno sforzo fisico non indifferente, comunque l'avremmo fatta lo 
				stesso, abbondante intendo!
E poi ci portiamo al luogo 
				d'appuntamento con le nostre guide 
				Corrado 
				Conca coadiuvato in questa occasione da Antonello. 
				L'appuntamento è davanti alla galleria per Cala Gonone  
				sulla SS125 Orientale Sarda.
Puntuali arrivano e veniamo 
				accompagnati in località Ponte S'Abba Arva dove lasciamo la 
				nostra auto e saliamo su un pulmino che ci condurrà all'inizio 
				della nostra escursione. 
Come arrivare all'inizio della gola 
				mi è un pò difficile ma sò che abbiamo percorso la SS 125 sino a 
				Genna Silana (Passo) riconoscibile da varie strutture tra cui un 
				Hotel, hotel Silana  a sinistra e una casa cantoniera a 
				destra.
Si continua sempre per SS 125 e dopo 6 gallerie 
				artificiali, le ho contate, arriviamo ad un bivio, sulla 
				sinistra Centro escursioni Gorropu, se ho visto giusto dovrebbe 
				essere il Km 177 al valico di Genna Cruxi. Prendiamo la strada a 
				destra stretta e tortuosa si inerpica fin sopra Planu Campu 
				Oddeu.
Dopo circa due Km proseguiamo dritti tralasciando una 
				deviazione a sinistra, la strada diventa sterrata. La strada 
				inizia a scendere in fitti boschi di querce regno di mucche, 
				asini e maiali che vivono allo stato brado.
Entriamo sulla 
				riva destra della Codula de sa Mela e la superiamo 
				attraversando un ponte di cemento. Raggiungiamo degli ovili, 
				ovili di Campos Bargios, incontriamo un altro bivio dove noi 
				proseguiamo dritti per almeno altri 2,5 km sino ad uno slargo 
				nella località Sedda Ar baccas, ( 12,5km dalla strada statale).
				
Sono stato bravo nella spiegazione? Si! Sono troppo bravo!
				
Stò scherzando non potrei mai ricordarmi così tanti 
				particolari e nomi di questi luoghi e che nomi poi! Mi sono 
				aiutato con la guida ben scritta dal nostro accompagnatore 
				Corrado, si tratta del libro " Il top del trekking in Sardegna " 
				edizioni Segnavia, lo stesso sarà per la descrizione del 
				percorso della Gola del Gorropu. Del resto non è che c'avevo 
				molto tempo per prendere appunti, come diceva Bruno era come 
				essere ad un luna park, attrazioni una dietro l'altra!
( 
				dalla Guida Il Top del Trekking in Sardegna ed. Segnavia)
Le alte pareti 
				delle rinomate Gole di Gorropu Caratterizzano un tratto del 
				lungo corso del rio Flumineddu. Spesso erroneamente definito il 
				canyon più profondo d'Europa, questa gola presenta in alcuni 
				punti pareti alte fino a 400mt, ed un dislivello complessivo, 
				tra il greto e la vetta di Punta Cucutos di 488 metri.   
				L'itinerario più breve e frequentato per visitare la gola 
				prevede l'ingresso dalla vallata di Oddoene, noi effettueremo la 
				traversata da monte a valle, più suggestiva ma anche più 
				complessa, sia dal punto di vista tecnico ma anche logistico.
				
Dallo slargo di Sedda Ar Baccas ci si sposta verso ovest per 
				prendere la traccia della strada sterrata che si inoltra nel 
				bosco, questo itinerario è indicato come CAI n.502, ma in loco 
				ci sono poche segnalazioni di tipo classico, dopo poche centinaia di metri incontriamo una prima 
				meraviglia, una pianta di 
				
				tasso centenario(taxus 
				bacata), un vero monumento naturale con un fusto 
				imponente, assolutamente straordinario per questa specie. 
				Riprendiamo il cammino e dopo breve, superato un fontanile, la 
				nostra guida ci richiama l'attenzione verso dei grossi massi, a 
				noi sembravano solo grosse pietre ma invece ci viene spiegato 
				che si tratta di quel che resta di una " Tomba dei Giganti" 
				 
				così chiamate dalla fantasia popolare per via delle loro 
				dimensioni ciclopiche, sono  strutture megalitiche di
forma allungata e absidata con all’interno un lungo (fino a 30 m) vano
rettangolare pavimentato  
				destinato a sepoltura
collettiva di numerosi defunti, il frontale si presenta a forma di esedra realizzata in modi differenti: con
lastre a coltello, purtroppo di tutta questa struttura rimane ben poco!..
Dopo tante spiegazioni, molto esaurienti e fatte con convinzione di causa,
capiamo solo  che alla fine comunque molte sono le cose che si ignorano di
questa civiltà e del loro culto.
Superata la Tomba dei Giganti la strada 
				continua rettilinea ancora un centinaio di metri, fino a 
				diventare traccia di sentiero e piegando a sinistra si superano 
				alcune bancate calcaree.
Finalmente il sentiero si fa più 
				panoramico, arriviamo alle quote più alte di Su Schinale '  
				e s'Arraiga, ovvero la cresta spartiacque tra le grandi 
				depressioni del Rio Flumineddu e della Codula Orbisi.
				Percorrere la cresta di questo sperone roccioso permette di 
				osservare, da un punto di vista privilegiato, alcuni tra i 
				fenomeni carsici più importanti dell'intero Supramonte. Sulla 
				destra, dove confluisce la Codula Orbisi, è infatti possibile 
				notare sulla parete la risorgente della grotta Donini, detta 
				Cunn'è S'Ebba, che in stagione invernale è caratterizzata da una 
				suggestiva cascata in parete. Più avanti, proseguendo su una 
				traccia di sentiero ben evidente, si giunge alla confluenza tra 
				queste due importanti gole, detta appunto Sa Giuntura. Seguendo 
				il greto del rio Flumineddu per circa 500 mt. si arriva presto 
				ad affacciarsi ad un primo grande lago, Sa Pischina 'è Orroppu, 
				che sbarra la strada, da questo punto in avanti si dovranno 
				superare una serie di passaggi che richiedono un minimo di 
				tecnica e sicurezza nei movimenti su roccia.
Questo primo 
				lago si può superare utilizzando un cavo d'acciaio posto sulla 
				riva sinistra seguito da altri corrimano che riportano verso il 
				greto del torrente in secca. Dopo circa 150 mt. ci si trova 
				davanti ad un altro lago, posto qualche metro più in basso, qui 
				è necessario spostarsi sulla sinistra di una ventina di metri 
				per aggirare e raggiungere una cornice rocciosa che permette di 
				attraversare più in basso la linea di scorrimento dell'acqua. Un 
				terrazzo permette infine di ridiscendere fin sul greto dove però 
				si potrà proseguire pochi metri perché presto ci troviamo di 
				fronte al bellissimo laghetto sotterraneo, un luogo estremamente 
				suggestivo. Per passare al di là vi sono dei cavi d'acciaio 
				molto deteriorati e per questo le nostre guide approntano una 
				linea con una corda ben più affidabile, visitando la pagina FB 
				di Corrado Conca ho visto che recentemente questi cavi 
				sfilacciati sono stati interamente sostituiti. Questo passaggio è 
				abbastanza impegnativo sia per la distanza degli appoggi sia per 
				la scivolosità delle rocce.
Giungiamo su un terrazzino e 
				scendiamo dalla parte opposta con l'aiuto di corde fisse che ci 
				riconducono sin sul greto del torrente in una zona sovrastata da 
				pareti imponenti: ci si trova ora nel pieno delle Gole del 
				Gorropu.
Il cammino da ora in avanti si svolge in passaggi su 
				roccia, brevi arrampicate, frequenti discese tra alti massi, 
				talvolta impegnative che richiedono molta cautela e buona 
				affidabilità.
Le pareti diventano sempre più alte e 
				vertiginose mentre il canyon disegna alcune anse strettissime 
				che in poco più di un'ora di stupore arriviamo allo sbocco nella 
				vallata di Oddoène.
Siamo al termine delle Gole e ci togliamo 
				gli imbraghi e l'attrezzatura di sicurezza, dobbiamo pagare 
				anche un biglietto (5€) per l'ingresso al sito.....ma noi 
				usciamo!! 
Dopo un pò di rilassamento ancora con gli 
				splendidi scenari negli occhi, felici per la bella avventura, 
				prendiamo il sentiero di ritorno posto sulla sinistra del fiume, 
				indicato con il numero 485 segnavia bianco rosso del CAI, 
				peccato che questi segni ci siano solo all'inizio del percorso.
				Il rientro è lungo e abbastanza monotono, ma senza particolari 
				problemi di orientamento, ( gli unici bivi conducono verso 
				l'alveo del fiume o verso le pareti in ripida salita) e 
				caratterizzato da un buon numero di sorgenti. In circa un'ora e 
				quarantacinque di cammino sulla mulattiera raggiungiamo il ponte 
				di S'Abba Arva dove abbiamo il nostro furgone che ci aspetta.
				L'escursione è classificata EEA, ha un dislivello totale di - 
				580 mt. prevede 5/6 ore di marcia su uno sviluppo complessivo di 
				10km, la segnaletica è scarsa, solo qualche segnavia all'inizio 
				del cammino.
A mio parere è bene effettuarla con una guida 
				che conosca bene il posto, inoltre le distanze dal punto di 
				partenza e quello d'arrivo sono notevoli e con un'auto sola non 
				ci si può fare.
Una birra fresca e ci commiatiamo dalle 
				nostre brave guide e facciamo ritorno verso l'albergo a Dorgali 
				dove una meritata doccia, una bella cena e un bel sonno per 
				ritemprarci, ci attendono.
Il giorno seguente la decisione 
				dell'escursione cade su Cala Goloritze, uno dei tratti del
				Golfo di Orosei dove mare e montagna si 
				incontrano in perfetta armonia.
Sempre con la SS 125 
				Orientale Sarda ci dirigiamo verso Baunei, una volta giuntivi 
				attraversiamo il paese e in prossimità della chiesa parrocchiale 
				imbocchiamo una strada sulla destra seguendo le indicazioni per 
				“Su Sterru” e “Goloritzé”.  La 
				strada s’inerpica sull’altopiano e percorre l’antica “Bia Maore” 
				per raggiungere il suggestivo altipiano del Golgo. A circa 8,5 
				km da Baunei lasciamo la strada asfaltata, svoltiamo a destra 
				seguendo il cartello che indica “Su Porteddu” e percorriamo una 
				sterrata per 1 km circa sino ad arrivare al parcheggio custodito 
				dai ragazzi del Punto di Ristoro – Centro Escursioni “Su 
				Porteddu”.
Lasciamo il nostro furgone nell'ampio parcheggio, 
				a pagamento (5€) e seguendo un evidente segnavia in pietra 
				iniziamo il cammino verso la cala.
Stranamente per scendere 
				al mare prima dobbiamo salire, infatti il primo tratto è tutto 
				in salita e ci porta dai 410mt. di Porteddu ai 470mt. di una 
				piccola insellatura di Arcu Annidai, che è per l'appunto il 
				punto più alto dell'escursione. Da quassù la vista spazia 
				dall’ampia vallata di Golgo ad ovest sino alle cime 
				di “Monticlu” ad est passando per le pareti di “Serra e Lattone” 
				a nord.
Iniziamo la discesa tra bassi 
				arbusti di lentisco e fillirea su sentiero sempre ben evidente 
				ma privo di segnaletica, giungiamo poi in vista del largo solco 
				che scende direttamente verso il mare (Bacu Goloritzè).
				camminiamo tra muretti a secco e raggiungiamo il punto dove il 
				sentiero inizia a scendere; scendendo, a ridosso di una parete 
				notiamo dei vecchi "Cuili " (ovili) ricavati in grotte.
				Continuiamo e attraversiamo un punto caratterizzato da splendidi 
				e monumentali esemplari di leccio.
Il sentiero scende ben 
				evidente entrando ora in macchia mediterranea dove i profumi 
				delle piante ci inebriano: elicrisi, cisti, ginepri e gli 
				inconfondibili corbezzoli ancora senza frutti.
  
				Il 
				sentiero scende ripidamente sempre tra l’imperterrito 
				ciottolato, che incita ad una certa attenzione nei passi.
Ci 
				colpisce il paesaggio aspro, quasi lunare creato da vaste 
				distese e valloni di ciottolato interminabile, una pietra 
				sull’altra, dove solo i ginepri riescono a crescere contrastando 
				il loro bianco.
Il mare si avvicina sempre più e si 
				incontrano mano a mano dei suggestivi rifugi di pastori (cuili), 
				usati anche per accamparsi la notte, nonché rami e tronchi di 
				alberi secolari in mezzo alla strada che rendono suggestiva la 
				camminata.
Attraversiamo un caratteristico arco di roccia 
				naturale, e proseguendo per una ventina di minuti si intravede 
				finalmente la punta della 
				Guglia Goloritze, un torrione di 
				roccia calcareo alto 120 metri: meta ambita per ogni climber che 
				si rispetti,  
				
				che vogliono 
				ripercorrere 
				i passi dei primi salitori : il grande 
				Maurizio Zanolla "Manolo" e Alessandro Gogna nel 1981 con la via 
				"Sinfonia dei Mulini a Vento".
				
				Il panorama 
				intorno è maestoso, superbo, aspro e selvaggio, incredibilmente 
				solitario e silenzioso, con le possenti pareti calcaree del 
				canalone che sovrastano il luogo, piene di grotte, cavità e 
				alberi secolari.
Continuiamo a scendere mentre la Guglia 
				diventa sempre più alta, fino a costeggiarne la base, dove poco 
				più avanti si trova un’area di sosta con tavolini in legno. 
				Ancora pochi metri e la stupenda visione della cala lascia senza 
				fiato!
Scendiamo la ripida scala in legno che termina su un 
				pavimento liscio e roccioso, ed ecco di fronte il mare, con la 
				piccola spiaggia costituita da ghiaia minuscola e levigata.
Cala Goloritzé è come un dipinto nato da una 
				fantasia da sogno, oppure come un sogno dal quale non ci si 
				vorrebbe svegliare mai. E’ questo è il primo pensiero che salta 
				in mente alla sua vista.
				La visione è straordinaria: sulla sinistra un gruppo di massi 
				delimita il confine della cala, a ridosso delle altissime pareti 
				verticali a nord dove, subito dietro, si trova un’altra 
				spettacolare spiaggia che è quella di Sisine; di fronte il mare 
				cristallino colorato di tutte le varietà di azzurro possibili ed 
				immaginabili; sulla destra invece si ammira il singolare arco di 
				roccia naturale sul mare, che rende tanto famosa Cala Goloritzè; 
				sul retro infine impressiona notevolmente la vista dell'Aguglia 
				che sovrasta la cala, e che appare, da una certa angolazione 
				della spiaggia, quasi la bocca di un immenso squalo.
Qui 
				sugli scogli siamo tutti assieme bagnanti, escursionisti e 
				alpinisti, tra zaini, costumi da bagno, scarponi e ciabatte: 
				tutti assieme a godere di tanta bellezza.
E dove fare il 
				nostro pranzo se non qui dove potremmo avere migliore vista? 
				Anche se mangiamo solo un panino saziamo ugualmente lo spirito, 
				quasi la fame fisica passa in second'ordine.
Prima o poi però 
				viene l'ora del rientro, ci attendono un paio d'ore di salita.
				
I tanti tratti ombreggiati e la piacevole brezza ci aiutano 
				a superare i tornanti del sentiero.
Ma ormai anche la salita 
				è giunta alla conclusione e non ci resta che ridiscendere a Su 
				Porteddu dove ci rinfreschiamo con una bella e fresca birra.
				Rientro a Dorgali.
Siamo così, infine giunti al nostro ultimo 
				giorno di questa splendida vacanza, dopo esserci accomiatati dai 
				proprietari dell'albergo, partiamo alla volta di Porto san Paolo
				ma ancora no siamo domi e per ultimo ci siamo tenuti 
				l'escursione dell'isola di Tavolara.
Come detto ci portiamo a 
				Porto San Paolo che raggiungiamo seguendo la SS 125 e si trova 
				ad appena 15 Km da Olbia.
Andiamo al porticciolo dove abbiamo 
				appuntamento con le nostre guide che ormai possiamo chiamarli 
				anche amici: Corrado e Antonello, facciamo i biglietti per il 
				traghetto e subito ci imbarchiamo per l'isola.
In poche 
				decine di minuti siamo al molo, attracchiamo e siamo già pronti 
				per la nostra escursione, assieme a noi si uniscono altre cinque 
				persone.
per descrivere anche questa escursione mi aiuterò 
				con la bella guida " Il top del trekking in Sardegna di Corrado 
				Conca, ediz. Segnavia"
Il percorso di salita alla vetta 
				dell'isola di Tavolara è uno dei percorsi più sorprendenti che 
				possa capitare di percorrere in Sardegna. Le caratteristiche che 
				lo rendono unico sono diverse, a cominciare dal fatto che si ha 
				la sensazione di effettuare una vera salita alpinistica in mezzo 
				al mare. L'isola ha infatti un'orografia talmente verticale e 
				affilata che i panorami sono sempre emozionanti e la vetta, se 
				non avvolta dal suo cappello di nuvole, per niente raro ( noi 
				non lo abbiamo trovato, per fortuna), offre una vista che ripaga 
				ampiamente delle fatiche della lunga salita. La tratta finale 
				della salita protetta da corde fisse, suggerisce di affrontare 
				questo percorso con una buona esperienza di progressioni di 
				questo genere.
Dal molo di sbarco prendiamo a destra, lungo 
				la costa, superiamo alcuni edifici, bar e ristorante. Dopo un 
				centinaio di metri raggiungiamo una strada asfaltata che 
				imbocchiamo, quì va precisato che stiamo entrando in una 
				proprietà privata e bisogna avere il permesso della famiglia 
				Marzano, se non si fosse riusciti a contattarli bisogna farlo 
				appena giunti sull'isola.
La strada supera un cancello e dopo 
				qualche curva, a 350 metri dal mare, in prossimità di uno slargo 
				si lascia e si entra su una vaga traccia di sentiero ( segno 
				rosso molto sbiadito) che si stacca sulla destra.
Ci  
				inerpichiamo subito in ripida salita e la traccia diventa sempre 
				più stretta e camminiamo tra radi alberelli e la fitta macchia 
				mediterranea, che devo dire ci martorizza le braccia 
				graffiandoci di continuo.
Raggiungiamo il primo fronte 
				roccioso dove con l'aiuto di corde fisse a superare dei passaggi 
				un pò complicati.
Arriviamo poi al culmine del primo grande 
				terrazzamento  e continuiamo a seguire il sentiero verso 
				nord ovest e poi attraversiamo perpendicolarmente una prateria e 
				continuiamo alternando falsipiani con qualche salita. 
				Affrontiamo poi altri facili passaggi su roccia, qui è presente 
				anche una corda fissa.
Raggiungiamo un terrazzo erboso, qui 
				partono due sentieri che portano alla vetta, entrambe esposte e 
				protette da corde o cavi d'acciaio, noi prenderemo quello che 
				sale più a nord e scenderemo dall'altro.
Dal terrazzo 
				attraversiamo in lieve salita e ci dirigiamo verso un ampio 
				anfiteatro, superiamo una pietraia, fino a raggiungere un
				caratteristico albero 
				proteso sul vuoto, da qui iniziamo a salire su placche rocciose 
				appoggiate fino ad uno sperone che ci appare insuperabile e dove 
				troviamo le prime tratte protette da cavo d'acciaio. Proseguiamo 
				su passaggi su roccia non particolarmente impegnativi ma dove e 
				necessario proteggersi con imbragatura e dissipatore, utile 
				anche il caschetto per il pericolo di caduta di pietre causate 
				accidentalmente da altri escursionisti.
Dopo aver percorso il 
				tratto protetto continuiamo a camminare ma adesso a vista verso 
				le creste, sempre verso i declivi rocciosi. Una volta in cresta 
				attraversiamo verso sinistra per raggiungere Punta Cannone a 565 
				m slm. 
				
				
Superate 
				queste difficoltà la fatica è ampiamente ripagata dal 
				panorama mozzafiato, di impareggiabile bellezza e fascino della Punta Cannone, al cui culmine vigila la 
				Madonnina di Tavolara.
Da Punta Cannone
				possiamo ammirare in direzione nord, Capo 
				Figari e tutta la Costa Smeralda, 
				riuscendo a scorgere la Corsica e le 
				Bocche di Bonifacio.  A ovest si staglia invece  la 
				zona costiera di Olbia, Porto Istana 
				e Porto San Paolo. A Sud-Ovest notiamo invece
				Capo Coda Cavallo, l’isola di Molara 
				e Molarotto.
				 
				
				
				È come essere sulle Dolomiti con la grande differenza 
				che sotto c'è il mare e che mare! Il fondo attorno all'isola 
				è perfettamente leggibile ed i colori sono stupendi.
				Rimaniamo circa un'ora per pranzare ma anche per goderci ogni 
				singolo minuto questo splendido spettacolo della natura.
ma 
				anche oggi arriva il moneto di riprendere la via di ritorno.
				Ridiscendiamo dalla vetta sino alla sella che divide Punta 
				Cannone da Punta Lucca ( 546 mt) la punta secondaria dell'isola 
				e anche questa ci dicono molto panoramica, vorremmo andare anche 
				lì ma non c'è più tempo, per le 16:00 dobbiamo essere di ritorno 
				perché il battello non ci aspetta e l'ultimo in questa stagione 
				e appunto per quell'ora.
Alla sella bisogna individuare 
				alcuni segnali ( freccia rossa e ometti di pietre) che indicano 
				la via di discesa e dove troviamo la corda di protezione 
				ancorata a dei chiodi da roccia. La via di discesa non può 
				essere sbagliata almeno sino al termine dei circa cento metri di 
				corde dove, quando queste terminano, è necessario seguire i 
				segni rossi che attraversano verso destra per arrivare poi al 
				terrazzo dove siamo già passati sulla via di salita.
Non ci 
				resta che seguire il sentiero già percorso. Dalla vetta ci ha 
				richiesto circa due ore e adesso ci troviamo
				seduti tutti assieme 
				ai tavoli del bar davanti ad una buona e fresca birra.
Siamo 
				felici per come abbiamo concluso questa splendida vacanza ma 
				anche un po' tristi non perché da domani torneremo alle nostre 
				attività ma perchè si avvicina il momento di lasciare questa 
				splendida isola, e anche la gente che la abita, persone 
				accoglienti e disponibili che ci hanno fatto sentire a nostro 
				agio.
Arrivati a Porto San Paolo ci congediamo dai nostri 
				amici/guide e a malincuore ci dirigiamo verso Olbia dove ci 
				imbarcheremo verso Livorno.
 Bè 
				la settima è passata, passata splendidamente, vorremmo tanto 
				avere avuto qualche giorno in più a nostra disposizione, ma il 
				dovere ci chiama e poi da buoni toscani campanilisti sotto sotto 
				a casa ci torniamo anche volentieri. Si perché abbiamo visitato 
				posti stupendi ma la casa è la casa e la terra natia e la terra 
				natia, quindi anche noi ci accorgiamo che i legami alle nostre 
				origini sono forti. 
Inoltre con queste escursioni siamo 
				stati a stretto contatto per molti giorni e abbiamo messo a dura 
				prova la nostra amicizia e devo dire che siamo veramente un 
				gruppo molto affiatato rispettosi l'uno dell'altro, magari 
				qualcuno un pò indisciplinato ma va bene così.
Adesso ho finito di tediarvi con tanti discorsi ma sentivo il bisogno di
condividere con tutti quest'esperienza che raccomando fortemente a chi potrà e
vorrà ripeterla.
Fine.