Il
Canale Centrale
sul versante occidentale del Pizzo delle Saette è considerato
l’itinerario più semplice per accedere alla montagna in invernale da
quel lato ma anche in estate offre un ambiente severo, selvaggio e
panoramico, con pareti ripide, canali rocciosi, passaggi esposti e
roccia instabile, punti di interesse
sono: il Canalone Centrale, le Cenge dei Partigiani, la Cresta del
Serpente tutti elementi di forte interesse alpinistico.
Partiamo di buon ora
per portarci a Passo Croce e successivamente alla località Fociomboli.
Prendiamo per Seravezza seguendo la strada di fondovalle del Serra e in
località Ruosina svoltiamo a sinistra per salire lungo la rotabile del
Cipollaio lungo una strada sulla quale una volta passava il trenino
dei marmi che dalla zona di Arni portava i blocchi ai moli caricatori
attraversando la galleria del Cipollaio. La strada si inerpica lungo le
pendici meridionali del Corchia fino a raggiungere il paese di
Levigliani (m. 582), borgo di cavatori e meta ideale per raggiungere sia
il Corchia che la Pania attraverso il caratteristico sentiero a
tornanti molto conosciuto detto "Le Voltoline"; dopo Levigliani la
strada sale lasciando a sinistra il bivio per Terrinca (m. 517) mentre
noi, poco dopo il bivio, svoltiamo a destra per una larga strada
asfaltata che risale le pendici del Corchia (m. 1677) attraversando una
zona chiamata Pian del Lago fino a giungere ai 1.160 m. del Passo Croce
dove si apre uno stupendo panorama su varie vette della catena apuana.
Passata una marginetta sulla destra troviamo un bivio, noi proseguiamo
sulla sinistra che ben presto diventa sterrato, proseguiamo sin quasi al
Passo di Fociomboli ma all'ultima curva la strada diventa molto
dissestata, lasciamo l'auto in prossimità del sentiero n° 129 al bivio
per Ponte merletti e Mosceta in prossimità di una marginetta, davanti a
noi gli splendidi Torrioni del Corchia meta ambita dagli alpinisti.
Ci prepariamo per la nostra escursione e
subito partiamo, raggiungiamo in pochissimi minuti Fociomboli e
continuiamo sulla strada sterrata che porta alle cave del retro Corchia.
Di fronte si profila il Corchia, dietro abbiamo il Freddone e sulla
sinistra prima il Rovaio e poi la Pania.
Sulla sinistra parte il sentiero ex 129,oggi 141; ci inoltriamo nel fitto
bosco di faggi, camminiamo ammirando la natura di questi splendidi monti
costeggiamo tutto il Corchia sino ad uscire dal bosco e siamo sopra la
Foce di Mosceta con i suoi bellissimi prati, scendiamo verso il rifugio
CAI Del Freo attraversando un rimboschimento di abeti e larici.
Superiamo il rifugio e proseguiamo verso la Foce di Mosceta ma prima
facciamo una lieve deviazione per raggiungere la sorgente sul sentiero
128, attraversiamo la zona umida sottostante e siamo alla Foce da dove
prendiamo il sentiero 126 che sale alla Pania.
E' ancora buon mattino,
quando l’aria è ancora fresca e il sole accarezza appena i prati attorno
al rifugio Del Freo. Raggiungiamo la Foce di Mosceta e prendiamo il
sentiero 126,
quello che traversa sotto le pareti occidentali del Pizzo delle Saette:
un percorso che regala subito viste aperte sulla Versilia e sul mare,
laggiù in fondo.
Camminando in costa, il sentiero si insinua
tra paleo e rocce; dopo una ventina di minuti ci troviamo di fronte al
grande
imbocco del Canale dell’Inferno:
una specie di corridoio erboso e detritico che sale dritto verso la
cresta. Proseguiamo ancora qualche minuto sul 126, appena prima del
boschetto di faggi, un piccolo ometto di pietre ci indica che è il
momento di lasciare il tracciato principale.
La traccia che imbocchiamo non è segnata dal
CAI, ma ci sono numerosi
ometti che danno
sicurezza della direzione. Questa traccia conduce alla Torre Francesca,
zona frequentata da climber. Saliamo su prati ripidi, interrotti da brevi
gradoni rocciosi. Sino ad adesso abbiamo camminato più o meno alla
stessa quota su traccia a volte evidente altre meno. Ci troviamo in un
tratto esposto dove è stata posizionata una corda fissa, un pò datata,
dopo un tratto orizzontale esposto dobbiamo scendere in un canalino con
terreno franoso, comunque si passa abbastanza facilmente.
Poco a poco ci portiamo sul
costolone che divide
il Canale dell’Inferno da quello Centrale. È un terreno selvaggio, fatto
di erba scivolosa e rocce rotte, che richiede attenzione e passo fermo.
Guadagnata la cresta, lo sguardo si apre di
colpo: a sinistra, in basso, il buio del
Canale Centrale; a
destra, il vuoto dell’Inferno. Davanti a noi, la dorsale continua a
salire, sempre più affilata, e invita a seguirla. Ci muoviamo con calma,
aiutandoci con le mani su qualche passaggio di
I°
grado. L’ambiente è
severo, ma al tempo stesso spettacolare.
Dopo una mezz’ora di salita lungo il
costolone, finalmente appare lei: la
Torre Francesca,
elegante guglia calcarea che si stacca come un dente dalla cresta.
Siamo nel Canale Centrale e dobbiamo risalirlo
sino alla cresta di vetta, ma una sosta per ammirare tanta bellezza non
può mancare, il vento porta con sé profumi di erba e roccia calda. La
Torre Francesca non è una cima famosa né frequentata, ma ha un fascino
tutto suo: sembra quasi di aver scoperto un piccolo segreto delle
Apuane.
Iniziamo a salire la lunga e faticosa risalita
del canale su terreno misto di paleo, roccette e detriti con un tratto
su placche di II+ (aggirabile) e altri due salti di II° , nel secondo è
presente una corda fissa, abbiamo evitato di tirarci su da questa in
quanto molto mal messa.
Ripresa la
salita, ci addentriamo verso il cuore del versante ovest delle Saette.
Le tracce diventano sottili, appena accennate tra erba e rocce. È qui
che si incrociano i percorsi delle
Cenge dei Partigiani,
due linee sospese e coraggiose che tagliano in orizzontale la parete: le
basse,
più vicine al fondo del vallone, e le
alte,
aeree e spettacolari, un filo di terra e roccia sospeso nel vuoto. Ci
fermiamo un momento ad immaginare le storie e i passaggi di chi, in
tempi duri, le percorse in fuga o in lotta.
Continuiamo per
Canale Centrale sempre ripido anche se non
difficile, però Ogni
volta che alziamo lo sguardo, la cresta sembra avvicinarsi, eppure resta
sempre un po’ più in là.
Infine termina in alto con un grande
imbuto detritico ed erboso, racchiuso da paretine e costoni laterali. La
pendenza, già sostenuta (40–45°), aumenta man mano che ci si avvicina
all’uscita, e l’ambiente diventa più severo. L’ultima sezione è
costituita da ghiaioni mobili e placche erbose molto ripide. Qui è
necessario procedere con calma, perché i sassi instabili rendono il
passo insicuro.
La traccia diventa sottile, quasi sparisce. A
tratti le mani cercano un appiglio tra le rocce affioranti, mentre i
sassi instabili rotolano giù con un tonfo secco. È un terreno traditore:
non difficile, ma severo. A sinistra, dietro una spalla rocciosa,
intravedo la linea sottile delle
Cenge
dei Partigiani; sembra
un sentiero sospeso nel vuoto.
Riprendiamo la salita, piegato in avanti,
quasi in quattro zampe. L’aria si fa più fresca, il vento arriva dalla
cresta e porta con sé l’odore del mare. Il canale si allarga, si apre in
un imbuto luminoso: è l’uscita. Con un ultimo sforzo e afferrando
roccia e paleo con le mani, conquisto finalmente il filo del crinale.
All’improvviso il mondo cambia. La vista si
spalanca a oriente: sotto di me la Garfagnana, verde e profonda, e
davanti le sagome delle Apuane settentrionali. Sento il vento sul volto
e un brivido di gioia corre lungo la schiena.
Siamo sul sentiero normale per la vetta del
Pizzo delle Saette contrassegnato da bolli azzurri, su terreno franoso;
in pochi minuti siamo in vetta.
Un ometto di pietre segna la cima, e ci
sediamo accanto ad esso. Tutta la fatica rimane nel canale alle nostre
spalle: adesso c’è solo silenzio, orizzonte e la sensazione di aver
vissuto uno degli angoli più autentici e selvaggi delle Apuane.
Il panorama dal Pizzo, vetta ardita e non
molto frequentata dagli escursionisti, è stupendo. Ben visibili molte
cime della Apuane settentrionali in particolare il Sumbra, il Fiocca, il
Sella, il Macina, il Freddone, l’Altissimo ed il Corchia.
e poi il mare, il lago di Isola Santa e il campanile del paesino
abbandonato di Col di Favilla, circondato da castagneti secolari.
Abbiamo bighellonato anche troppo e dobbiamo
ripartire, scendiamo per il canalino già percorso in precedenza e
dobbiamo fare molta attenzione in quanto è messo male su sfasciumi che
rendono la discesa problematica. Superato il bivio con il sentiero n°
139 per la Pianizza proseguiamo ancora per alcuni metri e sulla destra
parte una traccia poco evidente ma segnalata da un " omino" di pietra ed
evitiamo la cresta, non tanto per non fare la cresta ma per accorciare
il percorso, infatti questo percorso ci porta un bel po' più in basso
del Callare della Pania.
Infatti camminiamo per prati, rocce e
sfasciumi. Su questa traccia anticamente era posto un bivacco/rifugio di
cui non riesco a trovare notizie e se qualcuno ne conosce la storia e
volesse girarmele ne sarei grato.
Mentre mi allontano dai ruderi, il vento
sembra portare con sé le storie di chi ha percorso queste montagne prima
di me.
Il bivacco è scomparso, ma il suo ricordo
rimane impresso in ogni pietra e in ogni cresta. La montagna continua a
raccontare la sua storia, silenziosa e implacabile, e io porto con me la
memoria di questo piccolo angolo dimenticato. Attraversiamo un ultimo
ravaneto giungiamo al sentiero n° 126 che ci condurrà agevolmente alla
Foce di Mosceta.
Proseguendo il cammino torniamo sui passi
percorsi al mattino sul sentiero 141 ex 129 e in meno di un'ora siamo
alla nostra auto.
Con il
rientro alla nostra auto si chiude questa giornata intensa, tra fatica,
paesaggi selvaggi e panorami spettacolari. Il Pizzo delle Saette ci ha
regalato l’emozione di una salita faticosa ma mai noiosa, tra canali
ripidi, creste affilate e tracce antiche che parlano di storie passate.
La memoria del vecchio bivacco, ora solo rudere, ci ha ricordato quanto
queste montagne siano capaci di custodire segreti e storie silenziose.
Questa escursione non è stata solo un
itinerario da percorrere, ma un incontro con un ambiente severo e
autentico, capace di far sentire piccoli davanti alla grandezza delle
Apuane. Tornando indietro lungo i sentieri già battuti, portiamo con noi
il ricordo di un giorno in cui la natura, la fatica e la scoperta si
sono fuse in un’unica esperienza memorabile.